"La mamma - ha pubblicato il "Quotidiano della Calabria" - aveva affidato la figlia di undici anni, perché l'aiutasse a risolvere i suoi problemi scolastici, ad un operatore sessantenne dei Servizi sociali del Comune. Dopo qualche tempo però, preoccupata per l'eccessiva attenzione dell'uomo nei confronti della figlia, aveva segnalato questa sua preoccupazione alla polizia, erano scattate indagini ed intercettazioni e, quando alla fine era stata disposta una irruzione nella villa degli incontri tra i due, i due eranoo stati trovati nudi sotto le lenzuola. Condanna a cinque anni, per violenza sessuale su minore, per il sessantenne operatore dei Servizi sociali comunali, e conferma di questa sentenza anche in seccondo grado di giudizio".
Tutto secondo amaro copione, fin qui, come per tanti altri tristi episodi del genere. Fin qui, appunto. Perché è seguito, questa volta, un epilogo stupefacente. La Corte di Cassazione chiamata in causa dall'imputato pedofilo, infatti, ha sì confermato che dovesse essere condannato, ma ha disposto un nuovo processo in Appello affinché gli venga riconosciuta una attenuante: quella dovutagli perché tutto avvenuto in quanto lui sessantenne era innaamorato della bambina undicenne e la bambina undicenne era innamorata di lui sessantenne e, dunque, nessuna violenza, ma un tenero rapporto affettivo. Come dire: non una illecita pulsione di lui, ma, fra i due, un romantico intreccio di cuori e non fa niente se uno di sessant'anni e uno di undici. In quella Sezione della Cassazione che ha emesso una simile sentenza, evidentemente, non c'era neppure un nonno. Ma, sembra di capire, neppure un giudice di professionale lucidità.
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