"In via Curtatone 3 a Roma - si è scoperto - nella vecchia sede dell'Istituto per la protezione ambientale, più di 500 profughi e rifugiati politici eritrei vivono di stenti e dormono in terra, con 50 loro bambini, nei corridoi e nelle stanze già uffici, senza luce, senza acqua, nella sporcizia ed esposti all'insidia dei topi".
Basterebbe questo per inorridire ed indignarsi. Ma, purtroppo, c'è ancora dell'altro a Roma. Come circa mille eritrei, etiopi, somali e sudanesi rifugiatisi in uno stabile pericolante, già dell'Enasarco, alla Romanina. Come cinquecento etiopi ed eritrei, al Collatino, in uno stabile abbandonato del Ministero dell'Economia. Come cento eritrei, a Ponte Mammolo, in una baraccopoli sorta recentemente. E come chissà quanti altri immigrati disperati in chissà quali nascondigli della città. Una situazione, insomma, drammatica e intollerabile e che, con gli incessanti sbarchi, sempre più drammatica e intollerabile è destinata a divenire. Papa Francesco, cristianamente, continua a chiedere, al popolo italiano, di rinnovare ogni giorno il proprio encomiabile impegno di solidarietà verso questi fratelli deboli e indifesi. Il cristiano invito, però, sarebbe molto più efficace, se fosse affiancato dall'ancor più cristiano invito, al popolo dei numerosi ordini religiosi, di aprire, a questi fratelli deboli e indifesi, i loro conventi, le loro abbazie e i loro palazzi ormai deserti o semivuoti o, addirittura, trasformati in "residence" commerciali. Ma questo invito, prima o poi, potrebbe anche arrivare. Mentre continua a non arrivare la minima iniziativa da parte di quel Ministro all'integrazione, Cecilia Kyenge, la quale, al di là delle belle parole e delle lezioni che ama impartire sempre agli altri, dà dunque l'impressione che "non gliene possa fregà de meno".
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