"Nel 2011 - dati ufficiali - sono stati 2369, in Italia, i processi che si sono conclusi con assoluzione piena dopo una riconosciuta ingiusta condanna e una conseguente altrettanto ingiusta detenzione. Con una drammatica sofferenza fisica e morale di quei condannati innocenti e, oltretutto, con una spesa, da parte dello Stato, di 46 milioni di euro".
Che ai giudici capiti di sbagliare in buona fede - non c'è dubbio - è comprensibile e perfino ammissibile. Purtroppo, però, non è sempre così. Ne sa qualcosa in proposito - senza andare a casi e a personaggi molto più da "prima pagina" - il muratore Giuseppe Gulotta, ad esempio, che fu accusato da un assassino di averlo aiutato ad uccidere due carabinieri di Alcamo Marina, che fu costretto ad ammettere l'orrendo delitto solo perché ferocemente torturato in caserma, che non fu ascoltato quando raccontò in aula il motivo della sua confessione, che non fu scagionato neppure quando l'assassino suo accusatore confessò di averlo implicato ingistamente, che fu condannato dunque all'ergastolo e che ora è riuscito a lasciare il carcere, dopo ventidue anni, soltanto perchè l'ex brigadiere dei carabinieri Renato Olino, preso da pur tardivo rimorso, è andato a rivelare che quel povero muratore non aveva avuto nulla a che fare con l'uccisione dei suoi due colleghi e che la sua confessione era stata estorta con violenze terribili. Un caso - potrebbe osservare qualcuno - isolato ed estremo. Magari. Sarebbe sufficien andare a sfogliare l'archivio delle sentenze: certi magistrati ne uscirebbero con la faccia, la coscienza, le mani tutt'altro che pulite. Ma tanto che fa? A loro basta buttare tutto oltre le spalle e la "sacra toga". E, soprattutto, non essere chiamati - a differenza di qualsiasi altro cittadino - a rispondere anche dei loro errori più clamorosi e meno in buona fede.
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