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"Fatti e misfatti" è una puntuale selezione di episodi e di protagonisti che in Italia - ma anche nel resto del mondo - si sono distinti, si stanno distinguendo o si distingueranno "in modo particolare" e che tuttavia sono stati, sono e saranno troppo spesso ignorati o sottovalutati dagli organi di informazione. Pane al pane, senza alcuna appartenenza politica, con il solo referente della verità. Una verità che potrà essere velata di una profonda amarezza o sostenuta da una feroce ironia, mai però intrisa di facile qualunquismo.

giovedì 8 ottobre 2015

La resa di Marino

"Il sindaco Ignazio Marino - sbugiardato da mezza Roma sulla veridicità delle sue spese istituzionali e saputo di un'inchiesta avviata a suo carico dalla Procura - aveva giustamente pensato di doversi dimettere, poi ci aveva ripensato e se n'era uscito sfrontatamente così: "Sono stufo di tutte queste polemiche (come se non le avesse alimentate lui). Vuol dire che i 22 mila euro spesi, con la carta di credito del Comune, per gli interessi di Roma (e non è vero) li rimetterò tutti di tasca mia (ma solo dopo avere saputo come avrebbe potuto cadergli in testa l'accusa di peculato)".
Poi, però, il colmo dell'improntitudine più becera ed insultante: "Quei 22 mila euro che rimetterò nelle casse del Comune li regalerò a Roma". "Regalerò", sì, aveva detto proprio così. Tanto è vero che il suo stesso partito - a cominciare dal segretario nazionale-"premier" Matteo Renzi e il commissario al Pd romano, Matteo Orfini - erano esplosi: "O se ne vai lui spontaneamente, a questo punto, o lo facciamo andare via noi". E, tanto per cominciare, si erano dimessi il vicesindaco Marco Causi e gli assessori Stefano Esposito e Luigina Di Liegro, mentre altri avevano annunciato di farlo in giornata. Il sindaco Marino, però, niente. Lì, barricato, a resistere come in un romano moderno Fort Apache. A continuare, anzi, nei suoi vaniloqui: "Chi vuole cacciarmi (secondo lui, dunque, anche Matteo Renzi) vuole riconsegnare Roma alla mafia". Dandosi, dunque, l'ennesima zappa sui piedi. L'ultima. Quella definitiva. Perché, poco prima delle 20, ha annunciato, da Fort Apache, la sua resa. Le sue dimissioni. Rendendosi conto finalmente, in uno sprazzo di lucidità, che non avrebbe potuto più resistere a Matteo Renzi Toro Seduto.
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