"Il termine "negro" da me utilizzato domenica 10 e lunedi 11 gennaio - ha cercato di accreditare, su "Il Giornale" di martedi 12, il direttore Vittorio Feltri - non è assolutamente dispregiativo, anzi è semanticamente corretto, ed eccovi spiegato perché".
Solo che il "bravo direttore", dopo avere scritto ben una colonna e mezza di giornale, non è riuscito a concludere con alcuna accettabile spiegazione. Perché è ricorso a ormai vecchie citazioni semanticamente corrette solo quando "negro" non aveva ancora assunto il significato dispregiativo che ha assunto oggi. Oppure a un dizionario che, solo fra tanti, potrebbe dargli appena un po' di conforto. Oppure ancora - è il colmo - ad una affermazione che lui ha scelto di chiamare "negri" i neri perché i neri gli ricordano quegli estremisti di estrema destra che personalmente "gli sono antipatici". Per concludere, come se non bastasse la sua patetica arrampicata sugli specchi, con queste due "battute" a suo parere pertinenti ed ironiche: "Ma, allora, che ne facciamo di Toni Negri?" e "Come lo dovremmo chiamare, allora, Costantino Nigra?". Il colmo. O, forse, non è ancora tutto. Il "bravo direttore", in un suo prossimo editoriale, potrebbe infatti raccontare ai lettori questa significativa "freddura": "Un tizio, un giorno, incontra un "negro" con un coccodrillo al guinzaglio e chiede: "Perché porti quell'animale in giro?" "Berghé mi piage" risponde il "negro". E il tizio: "Zitto tu ché sto parlando con il coccodrillo"".
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