"I faldoni che la Corte d'appello di Milano aveva spedito a Roma per la Corte di cassazione - tramite il servizio postale - non sono mai arrivati a destinazione, ma sono tornati al mittente, dopo lungo tempo, aperti, manomessi, con le carte mischiate oppure si sono persi, addirittura, nel nulla".
Non più soltanto, dunque, la corrispondenza ordinaria consegnata con gravissimi ritardi e le cartoline recapitate dopo ottanta giorni: ora perfino i delicati atti giudiziari, dai quali sarebbero dipese le sorti di tanti processi e di tanti imputati, finiti non si sa dove o pesantemente danneggiati e alla mercé di chiunque. "Poste italiane", dopo questa nuova e ancor più clamorosa testimonianza di inefficienza e di caotica gestione del servizio, ha fatto sapere, semplicemente, di avere avviato un'indagine. Troppo buoni. Ma, comunque, per indagare che cosa di nuovo? E' già da tempo che i tradizionali servizi istituzionali di "Poste italiane" non assolvono più al loro ruolo. E, quindi, già da tempo si sarebbe dovuto indagare con giusta severità. E con giusta severità mandare a casa i responsabili di tanto sfascio. A cominciare dall'area dirigenziale. E, magari, dallo stesso Consiglio di amministrazione: Sempronio, Tizio e l'ultimo arrivato, addirittura al vertice, Caio. Francesco Caio.
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