"La ditta vincitrice di una gara per la realizzazione di 130 mila uniformi da combattimento, 150 mila camicie bianche e azzurre da divisa e 126 mila berretti - che, da bando, avrebbe dovuto operare esclusivamente in Europa - se n'è invece tranquillamente infischiata e la commessa è stata "passata" all'imprenditore Zuo Xing-yan con stabilimento a Shangai".
Ma non avrebbe dovuto esserci, al momento della consegna, una verifica? Certo. C'è stata. E proprio con questa verifica è stato possibile scoprire che, sotto l'etichetta "Made in CE", vi era l'etichetta "Made in China". Imbroglio che - secondo le prime indagini - si sarebbe perfezionato in Olanda. La merce sarebbe partita da Shangai, avrebbe fatto scalo a Rotterdam, qui sarebbe avvenuta l' "operazione etichette", quindi sarebbe ripartita per l'Italia. Facendo affidamento, evidentemente, in un mancato controllo che è andato, invece, a monte. Bloccato il pagamento della merce - ben dodici milioni di euro - l'imbroglio italo-cinese-olandese è ora nei fascicoli della Magistratura la quale ha già perfezionato dodici richieste di rinvio a giudizio. E la merce è stata sequestrata come corpo di reato o in quanto possibilmente nociva alla salute poiché proveniente da un Paese - come noto - produttore senza alcuno scrupolo? No, questo no. La merce è stata consegnata, in quattro e quattr'otto, alle varie Armi. Sarebbe interessante, allora, conoscerne il motivo. Anche nel caso in cui, in manacanza di quelle uniformi e di quelle divise, i militari sarebbero rimasti nudi.
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