"Italiani - ha fatto sapere l'autoproclamatosi Stato islamico che ormai controlla, praticamente, anche tutta la Libia - siete ad un tiro di missili".
I missili, cioè, disseppelliti dai depositi di Gheddafi? Niente paura, allora, perché quelli - ammesso che non se li sia rosicchiati la ruggine - partono con gran fragore, ma poi ricadono giù, poco più in là, peggio di un petardo di Capodanno. A far paura, invece, devono essere le forze navali di cui può avvalersi l'autoproclamatosi Stato islamico. Che non sono, naturalmente, né corazzate né sommergibili. Ma sono quei barconi in sempre più numerosa partenza proprio dalla Libia e all'interno dei quali, fra tanti poveri disperati, diventa sempre più facile nascondere miliziani assassini. Solo che i nostri governanti sembrano non voler accettare, incredibilmente, questo sì vero pericolo. E, comunque, continuano a non battere i pugni sul tavolo affinché, una volta per tutte, l'Unione europea, l'Organizzazione della Nazioni unite, la Nato prendano in seria e concreta considerazione l'espandersi di un regime fondato sul terrore e sulla morte. Ma è il solito: è più facile far battare dichiarazioni cretine alle agenzie di stampa piuttosto che battere i pugni sul tavolo. E, da parte delle varie istituzioni internazionali, battere in irresponsabile ritirata anche davanti alle crisi più spaventose. L'autoproclamatosi Stato islamico, invece, non sta lì a perdere tempo: invade, distrugge, uccide, impone le sue leggi barbare, pianta le sue bandiere nere. Bisognerebbe svegliarsi. Prima che davvero, alla fine, riesca a piantare la sua nera bandiera anche sulla cupola di San Pietro.
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