"Guerra - ai microfoni, ieri, di "Mix 24 - su quel "Jobs act" che alla fine, ancora oggi, è apparso come l'unica vera riforma varata dal Governo".
Ma - ecco - non guerra di Maurizio, segretario della Fiom, di cognome Landini. E, invece, di Andrea, consigliere del "premier" per la politica industriale, di cognome proprio Guerra. Il quale, sorprendentemente, se n'è uscito con alcune critiche non da poco. Come, ad esempio, la mancanza di "qualcosa di fondamentale quale la protezione dei lavoratori nel lungo periodo... La flessibilità ce la chiede il mondo, certo, ma sarebbe stato indispensabile che il Governo si fosse fatto carico, quantomeno, della qualificazione e riqualificazione dei licenziati". E senza contare una "stoccata", altrettanto non da poco, ancor più direttamente nei confronti del pur suo "Matteo della Leopolda", il quale si è detto "gasatissimo dei progetti di Sergio Marhionne", e lui ha tenuto a far sapere che "non è invece sua la linea sulle relazioni industriali" portata avanti dal tanto celebrato "maglioncino nero". Critiche e "stoccate" con un fondamento? Potrebbe darsi. Ci sarebbe da chiedere ad Andrea di cognome Guerra, però, perché le abbia "sparate" soltanto adesso. Anche perché poi - come si sa - il "Jobs act" non è stata una creatura del Ministero del Lavoro, non è stato "turbato" dai sindacati, ma è stato ideato e messo a punto, tutto, nelle chiuse stanze di Palazzo Chigi. Dove accanto a Renzi, come suo consigliere privilegiato, era seduto proprio lui. Lui, Andrea di cognome Guerra. E da oggi, magari, di soprannome "neogufo".
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