"Un bambino ha perso la vita cadendo nella tromba dell'ascensore alla stazione della metro "Furio Camillo" - ha detto, quando la tragedia è avvenuta ieri, il sindaco di Roma, Ignazio Marino - e io sto andando sul posto per accertarmi dell'accaduto".
Lo ha detto alla sua segretaria, al suo vigile urbano di scorta, al suo usciere ed è uscito di corsa su un' "auto blu", su un taxi, su una moto, sulla sua bicicletta? No: lo ha detto su "Facebook" e solo dopo è uscito, tranquillamente, alla volta della stazione "Furio Camillo". Arrivando, com' è naturale, quando già avevano accertato l'accaduto carabinieri, vigili del fuoco e magistrato di turno. Giusto in tempo, però, per essere accolto da un coro di fischi, di pernacchi e di "vattene". A testimonianza, al di là di quell'episodio specifico del quale lui ha in verità una responsabilità non certo diretta, di quanto ormai non conservi più un briciolo di amore e di stima da parte dei suoi cittadini. Anche se, per tutto ciò di cui ha invece responsabilità dirette pur enormi, c'è una non tanto sotterranea manovra per non mandarlo a casa. Buon proseguimento di inefficienza, di "fintatontaggine", di ridicolaggine, allora, al sindaco Marino. E rinnovati complimenti al suo partito che, per tema di perdere il Comune nella eventualità di elezioni anticipate, continua a tenergli sulla testa la mano protettrice. C'era una volta l' "Spqr". Oggi ci sono Ignazio e il suo sito "Facebook", Renzi e la sua "fifa nera".
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