"Abbiamo prove inconfutabili con tanto di mappe - è tornata a denunciare la Russia - che la Turchia, Paese della Nato, rivende sottobanco il petrolio che acquista dai terroristi dell'Isis, tra i 25 e i 60 euro il barile, anche ad alcuni Paesi del G20". "Noi non abbiamo prove così inconfutabili - hanno fatto sapere, invece, i ricercatori George Kiourktsaglou e Alec Coutroubis dell'Università "Greenwich" di Londra - ma, dalla primavera del 2014 a metà di quest'anno, abbiamo individuato tre picchi inusuali di flusso marittimo, sulla rotta tra il porto turco di Ceyhan ed alcuni porti europei, picchi che corrispondono alle maggiori conquiste di pozzi petroliferi, in Irak e in Siria, da parte dell'Isis".
"Non è vero niente", continua a sostenere il Presidente turco Erdogan. E potrebbe essere, quasi incredibilmente, così. Ma c'è anche una serie di fatti che lasciano molti dubbi e perplesità sulla smentita. Perché il Presidente turco Erdogan ha ultimamente nominato uno dei suoi figli Ministro dell'Energia, perché altri suoi due figli sono dirigenti di una delle principali compagnie energetiche del Paese e perché molti notabili amici sono "dentro" al traffico di certo "oro nero insanguinato". Che cosa decideranno allora, alla luce di queste gravi denunce, l'Europa, gli Stati Uniti, la Nato? E, in particolare, che cosa deciderà l'Italia, anche, in considerazione che frequenterebbero il porto petrolifero turco di Ceyhan, spesso, nostre navi e navi con altra bandiera, ma con meta il nostro Paese? Non andare a bombardare, insieme a francesi, americani e inglesi, potrebbe essere anche giusto. Ma fermare le navi contrabbandiere di "oro nero" jiadista, almeno, si dovrebbe fare. Nemmeno a dire che non si sapeva. Una petroliera la vedono anche i ciechi, mica è una barchetta di pescatori. Il "premier" Renzi, rimproverato anche dai "suoi" di non occuparsi troppo del territorio, farebbe bene ad occuparsi di più pure delle coste.
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