"Un 2015 buono per l'Italia - ha ribadito con orgoglio, durante la conferenza-stampa di fine d'anno, il "premier" Renzi - e un 2016 che sarà ancora più buono".
Un 2015 cattivissimo, obiettivamente, no. E per il 2016 si vedrà. Solo che c'è molto di qualcosa a gettare più di un'ombra su certo orgoglioso ottimismo. Uno: Dino Pinelli, Istvan Székely e Janos Varga, i quali stanno mettendo sotto la lente la manovra in deficit del nostro Governo, per incarico dell'Unione europea, hanno già annotato che il reddito per italico abitante sta continuando a perdere terreno, rispetto alle altre economie europee, a causa di una non efficiente legislazione e organizzazione del lavoro, di un lento progresso tecnologico, di una burocrazia soffocante, di carenze nelle infrastrutture e nelle forniture energetiche, di una Giustizia lumaca, di una quota bassissima di laureati e di competenze di base. Due: l'Istat ha rilevato come nel 2015, rispetto al 2014, la fiducia delle imprese italiane sia scesa dal 107,1 al 105,8 e quella dei consumatori dal 31 al 25. Tre: la Confesercenti ha conteggiato che, quest'anno, sono state costrette a chiudere 29.067 attività commerciali e, cioé, ben 80 al giorno. Quattro: l' "Intrum justitia european consumer report 2015" ha accertato che l'82% dei nostri giovani ritiene che la situazione del Paese non stia migliorando e il 37% sta pensando di trasferirsi all'estero. Credere al "premier" Renzi, allora, o agli esperti dell'Unione europea, all'Istat, alla Confesercenti, all' "Intrum justitia european consumer report 2015"? Piacerebbe credere, certamente, al "premier" Renzi. Ma si dovrebbe credere ancora alle favole. Perché le sue, molte delle sue, sono ancora favole. Diventeranno realtà, almeno, nel 2016? Per l'Italia sarebbe il sereno risveglio da un lungo incubo notturno.
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