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"Fatti e misfatti" è una puntuale selezione di episodi e di protagonisti che in Italia - ma anche nel resto del mondo - si sono distinti, si stanno distinguendo o si distingueranno "in modo particolare" e che tuttavia sono stati, sono e saranno troppo spesso ignorati o sottovalutati dagli organi di informazione. Pane al pane, senza alcuna appartenenza politica, con il solo referente della verità. Una verità che potrà essere velata di una profonda amarezza o sostenuta da una feroce ironia, mai però intrisa di facile qualunquismo.

venerdì 20 maggio 2016

Il Ministero della Difesa condannato per omicidio colposo

"La Corte d'appello di Roma ha condannato il Ministero della Difesa - per omicidio colposo - in quanto, avendo lasciato il militare Salvatore Vacca di 23 anni senza alcuna informazione e precauzione di fronte agli effetti micidiali dell'uranio impoverito, ne ha causato la morte per tumore".
Ma i giovani militari morti per tumore, a causa dell'uranio impoverito in zone di guerra, sono già stati, fino ad oggi, quasi 400. Farà giurisprudenza quella sentenza della Corte d'appello di Roma? E, quindi, potranno avere finalmente giustizia anche le famiglie delle altre vittime? Oppure il Ministero della Difesa, che non ha voluto mai riconoscere, vergognosamente, il nesso tra uranio impoverito e morte per tumore dei circa 400 militari, avrà l'impudenza di ricorrere in Cassazione? L'augurio è no. L'augurio, anzi, è che vengano chiamati a rispondere, davanti alla Giustizia, anche quei "baroni della sanità" i quali hanno sempre assecondato la vergognosa assoluzione dell'uranio impoverito. E quegli Alti comandi delle Forze armate i quali, dalla Somalia alla Bosnia, hanno irresponsabilmente lasciato che i nostri militari continuassero a vestire magliette e pantaloncini, nelle zone infestate dall'uranio impoverito, mentre i militari delle altre Nazioni erano stati tutti dotati di opportune ed efficienti protezioni. Onorevole Ministro Pinotti, se c'è, batta un colpo. Faccia sapere se il Ministero della Difesa  farà finalmente "mea culpa" e accetterà la giusta sentenza della Corte d'Appello di Roma oppure intenderà andare avanti ancora spudoratamnente, ricorrendo in Cassazione, su quella cinica e turpe strada che non avrebbe dovuto mai imboccare.
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