"Per il "caso Mediaset" - ha dunque sentenziato la Suprema Corte di Cassazione - quattro anni di carcere (di cui tre condonati per indulto), incandidabilità per sei anni, interdizione dai pubblici uffici da ricalcolarsi dalla Corte d'appello di Milano (presumibilmente da uno a tre anni), scelta se scontare la pena ai "domiciliari" o "in prova ai servizi sociali", ritiro dei passaporti (quello personale e quello diplomatico)".
Quali alcune delle prime reazioni nel mondo politico? Di qua il giornalista Giuliano Ferrara: "Sentenza vile e cazzona". Il parlamentare Luca D'Alessandro: "Onore e solidarietà a Silvio Berlusconi di certo più innocente e pulito di chi l'ha condannato ingiustamente". Il parlamentare Osvaldo Napoli: "La sentenza della Cassazione si è manifestata in tutta la sua vile durezza". Il parlamentare Giancarlo Galan: "Il fatto non costituiva reato, la sentenza non costituisce giustizia". Di là il raffinato urlatore "5 stelle" Beppe Grillo: "Berlusconi è morto, viva Berlusconi". Il segretario del Pd, Guglielmo Epifani: "La sentenza va rispettata e resa applicabile in ogni sua parte". Niki Vendola, segretario di "Sinistra Ecologia Libertà": "Non è possibile immaginare che il Pd permanga ora nella condizione di alleato del partito di Silvio Berlusconi". Antonio Ingroia: "Sarebbe uno schiaffo ai cittadini per bene e onesti che questo partito resti un secondo in più alla guida del Paese". Fu vera gloria o vera infamia, dunque, quanto operato o non operato da Silvio Berlusconi nel "caso Mediaset" oppure quanto definitivamente decretato dalla Suprema corte di cassazione? Ai posteri - rimerebbe forse, cambiando la data da 5 maggio a 31 luglio, Alessandro Manzoni - ai posteri l'ardua sentenza.
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