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"Fatti e misfatti" è una puntuale selezione di episodi e di protagonisti che in Italia - ma anche nel resto del mondo - si sono distinti, si stanno distinguendo o si distingueranno "in modo particolare" e che tuttavia sono stati, sono e saranno troppo spesso ignorati o sottovalutati dagli organi di informazione. Pane al pane, senza alcuna appartenenza politica, con il solo referente della verità. Una verità che potrà essere velata di una profonda amarezza o sostenuta da una feroce ironia, mai però intrisa di facile qualunquismo.

domenica 20 maggio 2012

Un atto dovuto dopo 29 anni

"Monsignor Piero Vergari, ex rettore della basilica di Sant'Apollinare - hanno fatto sapere gli inquirenti che hanno ripreso gli accertamenti sul profano mistero della scomparsa della giovane cittadina vaticana Emanuela Orlandi e sul sacro mistero della sepoltura del "boss" Enrico De Pedis in una così importante chiesa consacrata - è stato intanto indagato, in relazione al mistero profano,per sequestro di persona". "Ma - è stato subito precisato - solo per un atto dovuto".
Legittima, a questo punto, una serie di precise domande che esigerebbero una pronta e chiara risposta. Prima domanda: perché monsignor Vergari è stato indagato soltanto oggi, maggio 2012, e non già in occasione di indagini  ed accertamenti protrattisi - anche se stranamente a singhiozzo - fin dall'anno della scomparsa di Emanuela e, cioè, fin dal giugno 1983? Sarebbe stato possibile, oltretutto, tenendo anche conto che, ai tempi della scomparsa di Emanuela, la scuola di musica da lei frequentata era direttamente collegata con la basilica di Sant'Apollinare e che la direttrice suor Dolores si era sempre preoccupata di tenere le allieve lontane da monsignor Vergari. Solo antipatia, isteria, al limite gelosia o altro - il Cielo non ce ne voglia - da parte di suor Dolores? E, poi, perché quel transito diretto tra scuola di musica e basilica è stato successivamente chiuso dopo la scomparsa di Emanuela? E perché monsignor Vergari è stato sollevato da rettore della basilica di Sant'Apollinare e inviato in esilio in un paesino di poche centinaia di anime nel 1991 e, cioè, proprio quando è venuto a mancare il cardinale Poletti che era il suo protettore? Non è stato indagato prima perché prima sono state ritenute attendibili le sue dichiarazioni secondo le quali il "boss" De Pedis, una volta uscito dal carcere, si sarebbe dedicato anima e corpo alla beneficienza? Si sarebbe quindi guadagnato, da convertito san Renatino, una sepoltura degna di Sant'Apollinare? Tanto da ricevere - altra circostanza perlomeno inquietante - il nulla-osta dell'allora presidente della Conferenza episcopale italiana, cardinale Ugo Poletti? Oppure non è stato indagato prima perché prima non sono stati ritenuti degni di attenzione e di indagine quelli che, invece, si sarebbero potuti rivelare come indizi sui quali lavorare? Come, ad esempio, la lettera fatta arrivare alla mamma di Emanuela nella quale era scritto, tra l'altro, "sua figlia è morta la notte della sua scomparsa... nel 1983 ero l'amante di De Pedis non per amore, ma per trasgressione. Facevo da autista e da segretaria... Ritiravo buste al Banco di Santo Spirito, agenzia dell'Eur, e le consegnavo a politici, magistrati, poliziotti, preti...La sera del 22 giugno (il giorno della scomparsa di Emanuela, n.d.r) Enrico mi chiede di caricare in via Cavour un uomo dalla camicia gialla. Aveva con sè un borsone... La destinazione era Sant'Apollinare... Era mezzanotte, ci aprì personalmente monsignore. Entrammo in una specie di sacrestia e vidi a terra una ragazza molto giovane. Sembrava morta... "Camicia gialla" mi fece accostare con il bagagliaio aperto e arrivò con la giovane avvolta in una coperta... Monsignore diceva: "Mi raccomando, in un luogo consacrato"... Accompagnai "camicia gialla" a Ponte Milvio, andai a prendere Enrico e alle tre di notte portammo il corpo a Prima Porta... Lui lampeggiò, il cancello fu aperto da un uomo anziano. Poi Enrico mi dette dieci milioni...". Come, ancora, la dichiarazione dell'amante di De Pedis, Sabina Minardi (la stessa, verosimilmente, della lettera scritta alla mamma di Emanuela) secondo la quale il corpo della ragazza fu invece gettato in una betoniera. E perché tutto questo che avrebbe condotto alla straordinaria riconoscenza nei confronti di De Pedis? Perché - sempre secondo tesi nient'affatto peregrine, testimonianze non apparentemenete vaneggianti, ricerche serie come quelle condotte dal figlio del banchiere Calvi per scoprire la verità sulla misteriosa morte di suo padre a Londra - De Pedis sarebbe stato l'esecutore di un ordine venutogli da monsignor Marcinkus, allora presidente dello Ior (la banca vaticana) nell'ambito dei rapporti che legavano mafia e "mala" romana al Banco Ambrosiano e, da qui, a quella cassa d'Oltretevere che non avrebbe inteso restituire ai "boss" 250 miliardi di lire. Ordine, appunto, di organizzare il sequestro e la scomparsa di Emanuela Orlandi per un giro di squallidi ricatti incrociati. Ma risponderà mai qualcuno a queste domande e a queste ipotesi affatto costruite sul nulla? La Magistratura italiana ha assicurato che, questa volta, intende andare fino in fondo, ma c'è comunque da chiedersi perché abbia indagato a metà - almeno fino ad ora - monsignor Vergari. Il Vaticano, da parte sua, ha assicurato che, questa volta, intende collaborare fino in fondo, ma c'è comunque da chiedersi perché non lo abbia fatto subito e quando erano ancora in vita personaggi come il cardinale Poletti e monsignor Marcinkus i quali, certamente, avrebbero potuto fornire notizie utilissime alle indagini. Resta pur sempre, certo, l'ex rettore di Sant'Apollinare, ma lui sembra avere già concluso così il suo contributo alla ricerca della vertità: "Sono tranquillo, non ho nulla da nascondere... Renato De Pedis è stato un benefattore della Chiesa... Dei morti non si deve dire altro che bene". "Unicuique suum" (" a ciascuno il suo") è uno dei motti accanto alla testata del quotidiano vaticano "Osservatore romano". Sarebbe ora. Sarebbe ora che  ad ogni protagonista della terribile vicenda di Emanuela Orlandi si desse finalmente la grave responsabilità e la giusta pena che gli competono. Almeno a chi, di loro, è ancora in vita.
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